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12/04/2014 - INTERVENTO DEL PROCURATORE GENERALE DI CAGLIARI ETTORE ANGIONI AL CONVEGNO:
L’EVOLUZIONE DEI FENOMENI CORRUTTIVI NEL NOSTRO SISTEMA GIURIDICO
L’analisi delle norme penali
(Nuoro – 12 Aprile 2014)
Premesse generali
I dati sulla corruzione in Italia hanno ormai abbondantemente superato il livello di guardia: stando infatti al Rapporto della Commissione Europea, la corruzione nel nostro Paese vale 60 miliardi di Euro, la metà del totale dell’Unione Europea, col malaffare che fattura più o meno il 4% del Pil nazionale.

Nel tentativo di arginare questo malcostume diffuso e questo invadente sistema criminale è stata varata la L. 6 Novembre 2012 n. 190, che, al di là dalle numerose critiche da parte di vari settori della cultura, della politica e della stessa magistratura, rappresenta una novità importante per gli operatori del diritto, in quanto persegue, o dovrebbe perseguire, come obbiettivo prioritario un rafforzamento degli strumenti di prevenzione dei fenomeni corruttivi.

Sono note le polemiche che hanno accompagnato i lavori parlamentari e le scelte, frutto dei soliti compromessi, che alla fine hanno consentito l’approvazione della legge stessa, anche in virtù della fiducia posta dal Governo.

Forse o senza forse ci si attendeva qualcosa di più, come traspare dal parere del 24 Ottobre 2012 del C.S.M. e dal documento del successivo 27 Ottobre del Comitato Direttivo Centrale dell’A.N.M., che lamentavano l’occasione persa per un intervento più incisivo, specie con riferimento alla riforma del falso in bilancio e del voto di scambio, ma – come è stato giustamente sottolineato dalla maggior parte degli studiosi – l’intervento in oggetto rappresenta il meglio che si potesse fare in questo momento storico.

Per potersi calare appieno nello spirito che ha guidato il Legislatore è indispensabile penetrare nel contesto socio politico in cui è maturata la riforma, con lo sguardo rivolto all’evoluzione, sotto il profilo QUANTITATIVO e QUALITATIVO, del fenomeno in oggetto.

Negli ultimi anni, a partire dal periodo delle inchieste di “mani pulite”, la corruzione, lungi dal regredire, come ci si sarebbe potuti aspettare, è andata diffondendosi, non solo peraltro nel nostro Paese, fino ad assumere un carattere “sistemico”; e ciò, non tanto e non solo sotto un profilo quantitativo, ma con un significativo e pericolosissimo mutamento qualitativo, come si evince dall’allargamento dei soggetti coinvolti … e penso in particolare agli “intermediari”, che oggi si aggiungono ai due soli soggetti – pubblico e privato – di una volta …, nonché dal contenuto dello stesso patto corruttivo, che prevede sempre più forme di scambio illecito che vanno ormai ben al di là del tradizionale mercimonio di singoli atti di ufficio.

Si è così giunti, anche in virtù della spinta propulsiva proveniente dagli Organismi Internazionali e dagli obblighi di adeguamento derivanti dalle Convenzioni che l’Italia aveva ratificato (Vedansi ad esempio la Convenzione di Strasburgo del 1999 e la Convenzione ONU di Merida del 2003 sulla corruzione), all’emanazione della legge appena richiamata, che ha portato ad una profonda innovazione nell’ambito del “tessuto” normativo di alcuni reati – mi riferisco in particolare proprio ai delitti di corruzione e di concussione – creando un assetto diverso rispetto a quello configurato originariamente nel Codice penale, grazie anzitutto:
1) a dei consistenti aumenti delle pene;
2) ad un “restyling” delle principali figure criminose appena menzionate
3) e all’inserimento di nuove fattispecie incriminatrici, quali il “traffico di influenze illecite” e la “corruzione fra privati”.

In passato si era in particolare rilevato come nelle indagini sulla c. d. “corruzione internazionale” gli imprenditori italiani fossero soliti utilizzare quale argomento difensivo la circostanza di essere stati costretti o indotti al pagamento.

Sotto questo profilo il nostro Paese era stato pertanto invitato agli Organismi internazionali a modificare senza indugio la sua legislazione, ESCLUDENDO LA CONFIGURABILITA’ DELLA CONCUSSIONE COME POSSIBILE ESIMENTE PROPRIO PER LA CORRUZIONE INTERNAZIONALE.
Nel corso degli anni erano state così presentate tutta una serie di proposte, tradottesi anche in disegni di legge, con l’obbiettivo di modificare il delitto di concussione.

Nel pieno delle indagini di “Tangentopoli”, si era addirittura ipotizzato di poter eliminare totalmente detta fattispecie criminosa, facendo confluire i fatti costrittivi nella norma di estorsione aggravata dall’abuso dei pubblici poteri e riassorbendo quelli induttivi nella fattispecie della corruzione.

In dottrina si erano invece segnalate voci molto autorevoli di segno diverso, contrarie in particolare all’idea di eliminazione di una figura criminosa che apparteneva alla nostra tradizione giuridica e che aveva l’importante merito di attuare una specifica stigmatizzazione del fatto commesso dal pubblico ufficiale.

Il Legislatore della Legge n. 190 parrebbe aver scelto una posizione, per così dire, mediana: non l’abolizione tout court dell’ipotesi della concussione, ma un suo sdoppiamento o, per usare un termine ormai invalso nel linguaggio giurisprudenziale, un suo “spacchettamento”, che avrebbe dovuto, almeno in parte, soddisfare le richieste provenienti a livello internazionale.

Il rafforzamento dell’attività di prevenzione
La preoccupazione che il mantenimento di una figura di reato come la “concussione, sconosciuta nella maggior parte degli altri ordinamenti, potesse prestarsi, specie nell’ambito della corruzione internazionale, a forme di ingiustificata esenzione da responsabilità penale per i privati che dessero o promettessero un corrispettivo indebito e la consapevolezza della limitata efficacia del controllo penale hanno anzitutto indotto lo stesso Legislatore a potenziare gli strumenti preventivi, delineando un ARTICOLATO SISTEMA DI PREVENZIONE AMMINISTRATIVA, di cui evitiamo di parlare, apparendo opportuno focalizzare la nostra attenzione:
1) sulle nuove fattispecie di reato;
2) sui cambiamenti al codice civile;
3) e sulle regole circa la responsabilità degli Enti.

Le modifiche penalistiche
Sotto un profilo più squisitamente repressivo il nuovo impianto legislativo si articola nei seguenti punti:
1) Con una modifica del delitto di concussione (Art. 317 C.p.) e con la configurazione di un autonomo reato di “induzione indebita a dare o promettere utilità” (Art. 319 quater C.p.), nei termini che diremo;
2) Con una riscrittura dei delitti di corruzione (Artt. 318, 319, 319 bis, 319 ter, 320, 321 e 322 C.p.);
3) Con l’inserimento del nuovo “reato di traffico di influenze illecite” (Art. 346 bis C.p.);
4) Con la previsione della “corruzione fra privati”, mediante revisione della precedente fattispecie di infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità ex art. 2635 C.c.;
5) Con un inasprimento del regime sanzionatorio.
Io limiterò il mio intervento all’analisi del nuovo delitto di concussione, lasciando maggior spazio al Prof. Grosso, il quale saprà da suo pari illuminarci, anzitutto in ordine ad alcuni quesiti che porrò nel corso della mia breve esposizione e, quindi, in relazione alle modifiche introdotte nell’ambito delle condotte di corruzione propria e impropria, con particolare riguardo all’INDIVIDUAZIONE DEI CONFINI FRA IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 319 QUATER E LA CORRUZIONE.

Il nuovo delitto di concussione
Come sopra accennato, con la Legge in esame si è pervenuti ad una sostanziale modifica del delitto di concussione, figura chiave nell’ambito dei reati contro la P. A. e non a caso, infatti, punita con la sanzione più elevata fra di essi … concussione, che altro non è poi, se non una sorta di estorsione qualificata dalla natura del soggetto agente.

Ed invero dall’unica norma dell’art. 317 C.p. sono gemmate due fattispecie.

L’articolo ante riforma, rubricato “concussione”, puniva con la reclusione da quattro a dodici anni “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringeva o induceva taluno a dare o promettere indebitamente a lui o ad un terzo danaro o altra utilità”.

Era così prevista la sola punibilità del soggetto pubblico che, abusando del suo potere, esercitava una coazione psicologica (mediante costrizione o induzione) sul privato, onde conseguire vantaggi illeciti, con la totale esenzione di responsabilità in capo a quest’ultimo, considerato vittima di abusiva coartazione.

L’attuale art. 317 C.p., che mantiene la dizione “concussione”, punisce invece, con una pena maggiore nel minimo di quella precedente (oggi “sei” e non più “quattro” anni di reclusione”) “il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità e/o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o a un terzo danaro o altra utilità”.

La più vistosa novità introdotta è costituita dall’ELIMINAZIONE DELLA INDUZIONE dalla fattispecie in esame, col suo conseguente trasferimento nella nuova ed autonoma fattispecie di “induzione indebita” prevista dall’art. 319 quater C.p., di cui diremo più avanti.

Una seconda rilevante innovazione normativa consiste nella DELIMITAZIONE DELLA SOGGETTIVITA’ ATTIVA DEL REATO di cui all’art. 317 C.p. al solo pubblico ufficiale, SOTTO IL PROFILO CHE L’INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO DIFFICILMENTE POTREBBE ESSERE IN GRADO DI ESERCITARE FORME DI COAZIONE PSICOLOGICA A CARATTERE “COSTRITTIVO”, IN QUANTO SAREBBE PRIVO DI POTERI COERCITIVI TALI DA POTER INGENERARE NEL PRIVATO UNA VERA E PROPRIA SOGGEZIONE MISTA A TIMORE.

E qui debbo dire che tale innovazione lascia alquanto perplessi, giacché ora VI E’ IL RISCHIO DI PUNIRE CON PENA PIU’ ELEVATA L’IPOTESI DELLA COSTRIZIONE POSTA IN ESSERE DALL’INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO, allorché la si ritenga sussumibile nell’ipotesi dell’estorsione aggravata ex artt. 629 e 61 n. 10 C.p.

Tra l’altro, LA PRETESA INIDONEITA’ DELL’INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO A CAGIONARE QUEL “METUS” CARATTERIZZANTE LA CONCUSSIONE parrebbe urtare contro il precedente indirizzo giurisprudenziale del Supremo Collegio, che aveva sempre affermato che anche l’incaricato di pubblico servizio poteva essere pacificamente in grado di porre in essere atti di costrizione sul privato.

OGGI IL DELITTO DI CONCUSSIONE PUO’ DIRSI QUINDI INTEGRATO ALLORQUANDO, con abuso di funzioni o di poteri, il pubblico ufficiale ponga in essere una condotta di costrizione, che – stando alla giurisprudenza consolidata del Supremo Collegio – dovrebbe estrinsecarsi in una violenza morale, e cioé nella minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto, recante alla vittima una lesione patrimoniale o non patrimoniale.

Da ciò consegue che il nuovo reato di cui all’art. 317 C.p. finisce ora con l’identificarsi esclusivamente con la CONCUSSIONE COSTRITTIVA, che si traduce nella condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del privato che, per effetto del comportamento prevaricatorio del pubblico ufficiale, è costretto, senza alternative, ad accedere alla pretesa indebita.

L’elemento fondante la concussione è rappresentato, non solo e non tanto dall’assenza di par condicio tra il pubblico ufficiale e il privato, quanto dal vero e proprio stato di soggezione psicologica … il metus … in cui versa il secondo.

E proprio questa maggiore gravità comparativa della “costrizione” rispetto all’ “induzione” giustificherebbe, secondo il Legislatore, l’ulteriore inasprimento del trattamento sanzionatorio previsto dall’originario art. 317 C.p., che costituisce il terzo punto innovativo nell’ambito della modifica di siffatto articolo.

Diversi sono gli interrogativi sorti all’indomani della entrata in vigore della novella in esame a cui, come diremo, ha dato risposta la recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, che ha posto fine ai contrasti sorti in materia.

1) L’INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO che abbia commesso un fatto di concussione mediante costrizione prima della riforma SARA’ OGGI PUNIBILE e, se si, IN BASE A QUALE NORMA?

Sul punto, un primo indirizzo giurisprudenziale, poi accolto dalle Sezioni Unite, aveva posto in luce che, a seguito dell’entrata in vigore della più volte richiamata L. 190/2012, si era al cospetto di un fenomeno di successione delle leggi regolato dall’art. 2, comma IV, C.p. e non di una “abolitio criminis” ex art. 2, comma II C.p., per cui si doveva applicare la legge più favorevole al reo.

In sostanza, la costrizione per farsi dare o promettere danaro o altra utilità, posta in essere da un incaricato di pubblico servizio, sarà anche in futuro suscettibile di sanzione penale, non più ovviamente come concussione, ma come estorsione (aggravata ex art. 61, n. 9 C.p.), essendo quest’ultima norma generale rispetto alla prima e, quindi, idonea a riassorbire quei comportamenti in passato sanzionati ex art. 317 C.p. (Cass., Sez. VI, n. 13047, Piccino).

2) Posto poi che quella idonea a configurare il reato in esame deve essere una violenza morale e non anche fisica, IN QUALI CASI UNA MINACCIA DOVRA’ E POTRA’ RITENERSI IDONEA AD INTEGRARE L’ELEMENTO MATERIALE DEL DELITTO DI CUI ALL’ART. 317 C.P?

Riguardo a questo secondo interrogativo, due erano gli orientamenti formatisi all’indomani dall’entrata in vigore della legge de qua.
Stando a numerose decisioni del Supremo Collegio, la minaccia deve ritenersi idonea ogniqualvolta si traduca in forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destinatario della pretesa illecita.

Richiamo anzitutto la Sentenza n. 7495 del 3 Dicembre 2012, nella quale la Corte, dopo aver precisato che il concetto di costrizione non ricomprende l’uso della violenza fisica, incompatibile con l’abuso di qualità o di funzioni, puntualizza testualmente: “In tema di concussione la costrizione … implica l’impiego da parte del pubblico ufficiale della sola violenza morale, che consiste in una minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto, recante alla vittima una lesione patrimoniale o non patrimoniale”.

Richiamo ancora la Sentenza n. 11942 della Sezione VI del 25 Febbraio 2013 e quella, della stessa Sezione, n. 6578 del 25 Gennaio del medesimo anno, RELATIVA AL CASO DI UNA RICHIESTA AVANZATA DA UN VIGILE URBANO AD UN MINORE DI VERSARE LA SOMMA DI 50 EURO PER OMETTERE LA VERBALIZZAZIONE DI UNA VIOLAZIONE AL CODICE DELLA STRADA COMPORTANTE UNA SANZIONE PECUNIARIA DI GRAN LUNGA MAGGIORE.

Nel senso, però, che non sarebbero necessarie minacce espresse del pubblico ufficiale, ma anche soltanto modi bruschi e stressanti, accompagnati da comportamenti idonei a creare nel destinatario una condizione di riduzione dello “spatium deliberandi, idonea a determinare quest’ultimo a promettere o dare un’indebita utilità, si era invece espressa, sempre la VI Sezione, con la Sentenza n. 10891 del 21 Febbraio 2013.

Si pensi: A) al caso dell’operatore di polizia che, nel corso di un controllo amministrativo, minacciando un commerciante di denunciarlo per alcune irregolarità, effettivamente verificatesi, lo determini a consegnargli gratuitamente dei beni o una somma di danaro … B) o ancora al caso dell’operatore di polizia che pretenda il pagamento di una somma di danaro da un soggetto clandestino, con la minaccia, in caso contrario, di farlo espellere dal territorio …

ENTRAMBI CASI IN CUI il vantaggio di non essere denunciato da un lato e della permanenza sul territorio nazionale nell’altro sono una conseguenza indiretta del danno maggiore prospettato dal pubblico ufficiale!

CI SI CHIEDEVA POI se potesse considerarsi “costrizione” anche una minaccia che si manifesti in forme più blande che sfocino, ad esempio in comportamenti allusivi o quando la minaccia venga posta in essere attraverso la prospettazione al destinatario di un male giusto, cioè di una conseguenza sfavorevole, connessa, però, all’applicazione della norma.

Si erano prospettati a questo punto altri interrogativi!

QUID JURIS ANZITUTTO NEL CASO DI VIOLENZA FISICA POSTA IN ESSERE DAL PUBBLICO UFFICIALE AL FINE DI FARSI DARE DANARO O ALTRA UTILITA?

Sul punto, la Cassazione aveva ripetutamente sostenuto che, nel caso di violenza fisica, sarebbe eventualmente ipotizzabile il reato di estorsione o di rapina, in quanto il pubblico ufficiale che dovesse farne uso agirebbe certamente al di fuori dalle funzioni e dai poteri e il suo comportamento sarebbe qualificabile come quello di un comune cittadino.

QUID JURIS ANCORA SE L’UTILITA’ CHE SI CERCA DI OTTENERE SIA UNA PRESTAZIONE SESSUALE?

In parole più semplici, ci si chiede SE NEL CONCETTO DI UTILITA’ POSSANO E DEBBANO COMPRENDERSI ANCHE I FAVORI DI UNA DONNA O DI UN UOMO.

Anche qui la Cassazione, con la Sentenza n. 18372 del 21 Febbraio 2013, della VI Sezione, aveva risposto affermativamente, ma non possiamo sottacere le notevoli dispute che vi erano state in passato sia in dottrina che in giurisprudenza in ordine alla nozione di “utilità”, nella quale taluno sosteneva che non potessero comprendersi anche i favori di una donna, sotto il profilo che il concetto di “utilità” dovesse necessariamente implicare un vantaggio per il patrimonio o la personalità dell’agente, con esclusione quindi dei profitti meramente sentimentali, dei compiacimenti puramente estetici e dei piaceri sessuali; di contro altri e, in particolare in dottrina l’Antolisei, erano di avviso contrario, assumendo che una interpretazione restrittiva avrebbe finito per lasciare privi di sanzione “abusi assai riprovevoli”.

Con riferimento ad alcuni dei punti fin qui trattati, fra cui proprio quest’ultimo, si era espressa la Sentenza della IV Sezione del Tribunale di Milano in data 24 Giugno 2013 sul c. d. “Caso Ruby”.

Il Tribunale aveva condannato il Presidente Berlusconi per il delitto di concussione aggravata ex art. 61 n. 2 C.p. (in quanto posta in essere allo scopo di assicurarsi l’impunità dall’ulteriore delitto di prostituzione minorile), avendo ravvisato una minaccia implicita di “pregiudizi in ambito lavorativo” nella richiesta considerata un vero e proprio “ordine” da questi personalmente rivolta per telefono, nel cuore della notte, al Capo di Gabinetto del Questore di Milano Dott. Pietro Ostuni, avente per oggetto la consegna in affido al Consigliere Regionale Nicole Minetti di Ruby, segnalata come nipote del Presidente Egiziano Mubarak (circostanza ritenuta dal Tribunale palesemente falsa), che in quel momento si trovava presso la Questura di Milano, dopo essere stata fermata dalla polizia perché sospettata di furto, minorenne e priva di documenti; il tutto, al fine di ottenere per sé un duplice vantaggio: da un lato la ragazza veniva in tal modo rilasciata per cui la stessa avrebbe potuto continuare a frequentare la privata dimora di Arcore e dall’altro evitava che la stessa potesse riferire alle Forze dell’ordine o alle Assistenti Sociali di avere compiuto atti sessuali a pagamento con lo stesso imputato.

Nel caso in esame la condanna per concussione si fondava dunque sulla ritenuta “natura cogente” della richiesta rivolta da Silvio Berlusconi a Pietro Ostuni, alla quale questi avrebbe dovuto adempiere presto e senza discutere e alla quale non avrebbe potuto sottrarsi, se non subendo un pregiudizio.

E’ LECITO DOMANDARSI A QUESTO PUNTO SE NEL CASO IN ESAME SI POSSA PARLARE DI MINACCIA IMPLICITA E, QUINDI, DI “METUS PUBBLICAE POTESTATIS”, IDONEI A COARTARE IL SOGGETTO.

Il nuovo reato di “induzione indebita a dare o promettere utilità”
Una volta modificata in senso restrittivo la fattispecie di concussione appena richiamata, limitandola alla sola “costrizione”, tramite violenza morale, il Legislatore si è trovato a dover decidere quale sorte riservare alla “induzione”.

ERA STATO CHIESTO al Legislatore italiano di operare in modo da evitare che l’applicazione della fattispecie della concussione potesse funzionare quale strumento di possibile esonero da responsabilità per la corruzione internazionale, segnalando la necessità di evitare che la previsione di cui al precedente art. 317 C.p. consentisse al corruttore di sfuggire alle sanzioni, presentandosi come vittima di concussione.

In proposito esistevano due alternative:
A) o togliere alla condotta induttiva ogni rilievo penale autonomo, facendola confluire nell’alveo criminoso della “corruzione”;
B) ovvero mantenere in vita l’induzione come forma di condotta penalmente rilevante, inserendola in una nuova fattispecie incriminatrice dai connotati autonomi che evidenziassero il disvalore attenuato rispetto alla più grave fattispecie di “concussione”.

Si è preferito seguire quest’ultima alternativa, decidendo di mantenere nell’ordinamento un modello di incriminazione che in qualche modo ricalcasse il vecchio schema della concussione per induzione.

La condotta di “induzione”, come si è anticipato, é così confluita nel nuovo art. 319 quater, comma primo, C.p., la cui rubrica recita “induzione indebita a dare o promettere utilità”, che sanziona con una pena inferiore sia all’attuale che alla pregressa concussione (reclusione da “tre a otto anni”) “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o a un terzo danaro o altra utilità”.

La “ratio” dell’introduzione di questo nuovo articolo sta, quindi, nell’esigenza, più volte manifestata in sede internazionale, di evitare il più possibile gli spazi di impunità del privato che effettui dazioni o promesse indebite di danaro o altra utilità ai funzionari, adeguandosi a prassi diffuse in determinati settori.

La novità più importante di quest’ultima norma è, però, contenuta nel suo capoverso, laddove prevede che “nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette danaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni”.

Si tratta della previsione della punibilità bilaterale, nel senso che la punibilità viene estesa anche al privato che subisce l’attività induttiva, sia pure con un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quello previsto per il pubblico funzionario induttore.

La nuova fattispecie si caratterizza quindi da un lato col fatto che il privato non è più una vittima e dall’altro per l’assenza di condotta “coercitiva” da parte del pubblico ufficiale.

Come appare evidente, si è avuta una ridefinizione degli ambiti di illiceità, nel senso che la punibilità nella nuova fattispecie del soggetto indotto dovrebbe fungere da norma propulsiva di un nuovo modo di porsi del privato nel rapporto con la pubblica amministrazione; privato che non può più cedere nei confronti di una blanda spinta a pagare, se non vuole essere coinvolto nella responsabilità penale.

La condotta “induttiva” lascia, quindi, il destinatario libero, almeno parzialmente, nella scelta di dare o di promettere; di qui la decisione del Legislatore di non considerarlo persona offesa, prevedendone la punizione a titolo autonomo.

Persona offesa dal reato sarà stavolta, a differenza della concussione ex art. 317 C.p., solo la pubblica amministrazione, lesa nell’interesse al buon andamento e all’imparzialità ex art. 97 Cost..

Alla luce della riforma sono sorti i problemi di diritto intertemporale che ho più sopra richiamato e che avevano determinato diversi contrasti all’interno della Suprema Corte su cui, come detto, si sono di recente pronunciate le Sezioni Unite.

Nell’affrontare il problema di definizione del concetto di induzione, va subito detto come oggi acquisti una maggiore importanza pratica rispetto al passato la controversa questione dei criteri di distinzione fra COSTRIZIONE e INDUZIONE, trattandosi di due forme di condotta ora collocate in due diverse fattispecie diversamente sanzionate.

Come si è in precedenza sottolineato, difetta nell’induzione il metus tipico della concussione, che non lascia libero il privato di decidere, nel senso che in essa, e cioè nell’induzione, il destinatario è determinato all’indebita dazione o promessa in favore dell’agente in modo indiretto, surrettizio e sfumato.

Ci si chiede in particolare se l’induzione, quale unica condotta base della fattispecie di induzione indebita, possa o meno mantenere la stessa fisionomia di prima, e cioè di quando era inserita nella unitaria fattispecie della concussione; e ciò alla luce della innovativa previsione (v. art. 319 quater, comma 2) della punibilità dello stesso privato indotto, il quale, per sottrarsi alla punizione, dovrà d’ora in avanti opporre resistenza a ogni forma di pressione psicologica o sollecitazione proveniente dal soggetto pubblico, vincendo tradizionali atteggiamenti di timorosa soggezione e rivendicando il rispetto della legalità.

Il che significa che ora il privato, lungi dall’atteggiarsi a vittima passiva, sarà tenuto a contrastare il comportamento abusivo del pubblico funzionario, attivando le sue capacità di resistenza nell’ambito di un rapporto intersoggettivo che ormai viene considerato di sostanziale parità o, comunque, più di parità che di vera e propria soggezione.

In parole più semplici, se non oppone resistenza, il privato finisce per divenire una sorta di complice dell’abuso perpetrato ai suoi danni dal soggetto pubblico.

Ma questa apparente trasformazione da vittima a complice corrisponde davvero al senso normativo della nuova fattispecie di cui all’art. 319 quater C.p.?

L’evoluzione della più recente giurisprudenza ci porta in effetti ad assistere ad una crescente dilatazione applicativa del concetto di induzione, che ha finito per abbracciare qualsiasi comportamento dell’agente pubblico idoneo ad esercitare una pressione psicologica sul soggetto privato per convincerlo della necessità di una dazione o di una promessa di danaro o altra utilità pur di evitare conseguenze pregiudizievoli.

Sono state così considerate possibili modalità induttive L’ESORTAZIONE, IL CONSIGLIO, LA CONVINZIONE o PERSUASIONE, LA SUGGESTIONE e perfino IL MESSAGGIO IMPLICITO; tutte forme di pressione psicologica anche di intensità medio bassa, come tali quindi pienamente contrastabili da un privato disposto ad opporvi resistenza.

Come detto, a dirimere dubbi e perplessità sulle problematiche fin qui richiamate sono intervenute di recente, con Sentenza depositata il 14 Marzo scorso, le Sezioni Unite della Suprema Corte, chiamata a risolvere la seguente questione di diritto:
“Quale sia, a seguito della L. 6 Novembre 2012 n. 190, la linea di demarcazione fra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 C.p.) e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall’art. 319 quater C.p. di nuova introduzione), soprattutto con riferimento al rapporto fra la condotta di costrizione e quella di induzione e alle connesse problematiche di successione di leggi penali nel tempo”.

La Suprema Corte ha in primo luogo sottolineato come LA SCELTA DEL LEGISLATORE DEL 2012 DI CIRCOSCRIVERE IL DELITTO DI CONCUSSIONE alla sola condotta di costrizione posta in essere, con abuso della qualità o dei poteri, dal pubblico ufficiale FOSSE DERIVATA DALL’ESIGENZA DI CONTENERE – in linea con le sollecitazioni internazionali – L’ECCESSIVA DILATAZIONE CHE NELLA PRASSI APPLICATIVA ERA STATA FATTA DEL CONCETTO DI INDUZIONE, sino quasi a smarrire i confini con la corruzione, E DI CONFERIRE CONSEGUENTEMENTE PIENA AUTONOMIA AL CONCETTO DI COSTRIZIONE, non più considerato alternativo al primo.

Ha quindi messo in luce come la “costrizione” di cui all’art. 317 cod. pen. debba essere intesa come costrizione psichica relativa (vis compulsiva), in quanto mediante la condotta abusiva si pone la vittima di fronte all’alternativa secca di aderire all’indebita richiesta oppure di subire le conseguenze negative di un suo rifiuto, restringendo così notevolmente, senza tuttavia annullarlo, il potere di autodeterminazione del soggetto privato.

E ciò, in contrapposizione con la vis absoluta che, rendendo il soggetto passivo strumento nelle mani del soggetto attivo, determina il totale annullamento del potere di autodeterminazione del primo (non agit sed agitur), non può essere considerata espressione dell’abuso – al quale è collegata al più da un nesso di occasionalità – e non può integrare pertanto il delitto di concussione, ma altra figura criminosa, quale la rapina (si pensi al poliziotto che con la pistola di ordinanza costringa la vittima a consegnargli il portafoglio).

In definitiva, la fattispecie di cui all’art. 317 cod. pen. è caratterizzata dall’abuso costrittivo, nel quale è implicito il riferimento alla violenza o, più frequentemente, alla minaccia, uniche modalità realmente idonee ad “obbligare” il soggetto passivo a tenere un comportamento che altrimenti non avrebbe tenuto.
E ciò, INTENDENDOSI PER MINACCIA UNA CONDOTTA CHE, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto ed alla personalità dell’agente, SIA IDONEA AD INCUTERE TIMORE NELLA PERSONA OFFESA, che viene in tal modo posta in una condizione di sostanziale mancanza di alternativa: evitare il verificarsi del più grave danno minacciato, che altrimenti si verificherà sicuramente, offrendo la propria disponibilità a dare o promettere una qualche utilità (danno minore) che sa essere dovuta.
Deve rimanere estranea alla sfera psichica e alla spinta motivante dell’extraneus qualsiasi scopo determinante di vantaggio indebito, posto che, in caso contrario, il predetto non può essere ritenuto vittima agli effetti dell’art. 317 cod. pen., perché finisce col perseguire, con la promessa o con il versamento dell’indebito, un proprio tornaconto, divenendo co-protagonista della condotta illecita.
Quindi: antigiuridicità del danno prospettato dal pubblico ufficiale ed assenza di un movente opportunistico di vantaggio indebito per il privato sono i parametri di valutazione che denunciano lo “stato di costrizione” ex art. 317 cod. pen.

Chiarita l’essenza del delitto di cui all’art. 317 cod. pen., la Suprema Corte ha posto il problema di individuare il significato del termine “induce” contenuto nell’art. 319 quater cod. pen., in maniera tale da tracciare la linea di confine tra tali due fattispecie.

E’ giunta pertanto ad evidenziare che LA PREVISIONE DELLA PUNIBILITA’ DEL PRIVATO E’ IL VERO INDICE RIVELATORE DEL SIGNIFICATO DELL’INDUZIONE CHE, tenuto conto della ratio dell’art. 319 quater cod. pen. – ovvero dare autonomo rilievo a situazioni che si pongono a metà strada tra la condotta sopraffattrice propria della concussione e lo scambio corruttivo – SI CONFIGURA QUANDO PER EFFETTO DI UNA CONDOTTA DI PERSUASIONE. SUGGESTIONE, ALLUSIONE, O DEL SILENZIO, anche variamente combinate tra loro, L’EXTRANEUS RICEVA UNA SPINTA UTILITARISTICA e, ponendosi nella prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale, si determina coscientemente e volontariamente alla promessa o alla dazione dell’indebito.

In sostanza, nella fattispecie in esame la punibilità del privato è giustificata dal fatto di avere approfittato dell’abuso esercitato dal pubblico agente per perseguire un proprio vantaggio ingiusto.
Dalle argomentazioni innanzi accennate la Suprema Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:
1) “il reato di cui all’art. 317 cod. pen., come novellato dalla legge n. 190 del 2012, è designato dall’abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o – più di frequente – mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto, della libertà di autodeterminazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, è posto di fronte all’alternativa secca di subire il prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell’indebitore”;
2) “il reato di cui all’art. 319 quater c.p., introdotto dalla L. 190 del 2012, e designato dall’abuso induttivo del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, vale a dire da una condotta di persuasione, di suggestione, di inganno (purché quest’ultimo non si risolva in induzione in errore sulla doverosità della dazione), di pressione morale, con più tenue valore condizionante la libertà di auto determinazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale, il che lo pone in una posizione di complicità col pubblico agente e lo rende meritevole di azione”;
3) “nei casi così detti ambigui, quelli cioè che possono collocarsi al confine tra la concussione e l’induzione indebita (la così detta zona grigia dell’abuso della qualità), i criteri di valutazione del danno antigiuridico e del vantaggio indebito, che rispettivamente contraddistinguono i detti illeciti, devono essere utilizzati nella loro operatività dinamica all’interno della vicenda concreta, individuando, all’esito di una approfondita ed equilibrata valutazione complessiva del fatto, i dati più qualificanti”;
4) “vi è continuità normativa, quanto al pubblico ufficiale, tra la previgente concussione per costrizione e il novellato articolo 317 cod. pen., la cui formulazione è del tutto sovrapponibile, sotto il profilo strutturale, alla prima, con l’effetto che, in relazione ai fatti pregressi, va applicato il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto dalla vecchia norma”;
5) “l’abuso costrittivo dell’incaricato di pubblico servizio, illecito attualmente estraneo allo statuto dei reati contro la P.A., è in continuità normativa, sotto il profilo strutturale,con altre fattispecie incriminatrici di diritto comune, quali, a seconda dei casi concreti, l’estorsione, la violenza privata, la violenza sessuale (articoli 629, 610, 609 bis, con l’aggravante di cui alla’art. 61 comma I n. 9 cod. pen.)”;
6) “sussiste continuità normativa, quanto alla posizione del pubblico agente, tra la concussione per induzione di cui al previgente articolo 317 cod. pen. e il nuovo reato di induzione indebita a dare o prometter utilità di cui all’articolo 319 quater cod. pen., considerato che la pur prevista punibilità, in quest’ultimo, del soggetto indotto, non ha mutato la struttura dell’abuso induttivo, ferma restando, per i fatti pregressi, l’applicazione del più favorevole trattamento sanzionatorio di cui alla nuova norma”;
7) “il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti”;
8) “il tentativo di induzione indebita, in particolare, si differenzia dall’istigazione alla corruzione attiva di cui all’art. 322, commi 3 e 4 cod. pen. perché, mentre quest’ultima fattispecie si inserisce sempre nell’ottica di instaurare un rapporto paritetico tra i soggetti coinvolti, diretto al mercimonio dei pubblici poteri, la prima presuppone che il funzionario pubblico, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, ponga potenzialmente il suo interlocutore in uno stato di soggezione, avanzando una richiesta perentoria, ripetuta, più insistente e con più elevato grado di pressione psicologica rispetto alla mera sollecitazione che si concretizza nella proposta di un semplice scambio di favori”.

Due parole prima di concludere sulla c. d. “CONCUSSIONE AMBIENTALE”, locuzione usata dalla Suprema Corte per indicare particolari modalità della condotta oggi non più prevista dall’art. 317 C.p., dirette ad approfittare del sistema di illegalità imperante nell’ambito di alcune sfere di attività della pubblica amministrazione.

Con tale espressione si indicava il fenomeno concussivo in cui “il pubblico funzionario non poneva in essere una precisa ed esplicita condotta induttiva nei confronti del privato, ma teneva un contegno volto ad irrobustire nel privato stesso, attraverso comportamenti surrettizi e suggestivi, ammissioni e silenzi, la convinzione già insorta per effetto di una prassi consolidata, della ineluttabilità del pagamento”.

In parole più semplici, il pubblico ufficiale non pretendeva né indiceva espressamente al pagamento o alla promessa di pagamento, ma si limitava, con il proprio agire, in forma fortemente sfumata, a determinare nel privato, in maniera tacita (con ingiustificati “ostruzionismi”, con “ammiccamenti” di vario genere o anche con silenzi sintomatici), la convinzione di dover necessariamente “pagare”, adeguandosi ad una “prassi ineluttabile”, formatasi in quel determinato ambiente o contesto.

Orbene, vi è ancora spazio per la concussione ambientale?

Può ancora oggi parlarsi di una figura di tal genere?

Io mi limito a ricordare – e concludo – che la Suprema Corte, con Sentenza in data 11 Gennaio 2011 della Sezione VI, ha escluso il reato in presenza di situazioni di mera pressione ambientale, senza però che il pubblico ufficiale abbia posto in essere atti di costrizione o di induzione; e ciò nel senso che per la configurabilità del reato dovrebbe pur sempre occorrere la dimostrazione di un comportamento del soggetto pubblico al quale possa attribuirsi concreta rilevanza efficiente in ordine all’insorgenza della determinazione del privato.
























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